martedì 20 aprile 2010

A casa


Una delle doti distintive di Enzo era l'agilità.
Non certo uno scherzo per uno alto un metro e ottantasedici e pesante centoventimila chili di peso. L'uomo che non a caso aveva chiamato la sua agenzia "Le balene colpiscono ancora". Vederlo scattare come un grizzly era raro, perché credeva fermamente nel potere del sorriso: ma ricordo che una volta, entrando nell'ufficio di Piazza Sant'Agostino, l'avevo interrotto durante una telefonata con un cliente scorretto. Non è che stesse alzando la voce, questo no: ma il suo timbro baritonale si era fatto più oscuro, profondo, vibrante, come la voce di Dio in quei film hollywoodiani anni cinquanta.
A me, che lo vedevo come una specie di orso Yoghi, erano venuti i brividi.
Non vorrei mai vederlo su di giri, pensavo.
Così ogni tanto mi ritrovo a chiedermi se quando è arrivata la fine Enzo abbia reagito. Se, almeno per un attimo, abbia avuto l'illusione di farcela, di riuscire a tornare dall'inferno dell'Iraq sgomitando.
Ora, finalmente, Enzo c'è riuscito. lo hanno confermato ieri sera i RIS di Roma, che i resti riportati in Italia un paio di settimane fa sono i suoi. Ora, finalmente, chi vuole dedicargli un pensiero avrà un luogo dove andare a trovarlo. E una piccola consolazione: quella di immaginarsi quanto gli sarebbe piaciuta l'idea di rimettersi in viaggio anche oltre il corso naturale della vita.

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