martedì 1 ottobre 2013

Houston, abbiamo un blockbuster



Guarda mamma, sono figa

Gravity è il primo film di fantascienza vera da un bel po' di tempo a questa parte. E per coincidenza, anche il primo blockbuster originale da un bel po' di tempo a questa parte - non prequel né sequel né riavvio né superhero movie o tentativo di franchise. Gravity è un film dove gli effetti speciali sono al servizio del racconto, e non viceversa. Tanto è vero che le astronavi non sembrano disegnate da Philippe Starck, ma dalla Bialetti. Gravity ha dei momenti che tolgono il fiato. Nel senso più autentico della metafora. Gravity ha un cast stellare che qui diventa minimale perché nello spazio, sotto lo scafandro, nessuno può sentirti urlare "Guarda mamma, sono figo". Gravity ti fa venire voglia di fare l'astronauta, e poi te la fa passare. Gravity trasforma il ripassino di fisica in una ripassata, dimostrando per di più che Legge di Murphy batte teorema di Archimede dieci a zero. Gravity ha il sapore vagamente metallico-omogeneizzato delle merendine da astronauti, però minghia quante proteine. Gravity offre il miglior spogliarello spaziale da quello della Sigourney in Alien, che sembra ieri ma son passati trent'anni. Gravity è più retorico di Forrest Gump e Apollo 13 messi insieme, però anche la retorica nel vuoto pesa meno. Gravity ha un finale alla Nolan che quando esci dal cinema stai lì per mezz'ora con i pensieri in bilico fra happy end e (altro). Gravity è un film tutto forma che però a livello registico offre anche quintalate di virtuosistica spericolata sostanza. Gravity va visto. Se capita, in Imax, dove dà il meglio di sé.

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