lunedì 21 settembre 2015

Retep Nap



Ogni tre o quattro macchinette mangiasoldi buttate giù in fretta e furia per vendere macchinine, pop-corn e tricchetracche, in Pixar si ricordano dei bei tempi in cui furono uno studio creativo con i controcazzi. E investono in film fatti più per sfizio che per i grandi incassi.
È successo con Toy Story, che proprio nel novembre di quest'anno festeggerà i vent'anni dal debutto nelle sale. E nel corso degli anni, l'incanto si è ripetuto con Monsters & Co., Ratatouille e Up. Ecco, la buona notizia è che Inside Out punta deciso nella stessa direzione. Poco toyetic appeal e tanta ciccia complicata. Che però gli sceneggiatori della Factory californiana hanno tradotto in immagini splendide, magniloquenti e semplicissime da decodificare. E una sceneggiatura che descrive con una nitidezza degna di un Cuaròn la fatica di diventare grandi. Un Peter Pan al contrario, in cui Campanellino assume fattezze americanissime da stucchevole life-coach, i mondi fantastici dell'infanzia arrugginiscono e si sbriciolano a ogni pie' sospinto e il rifiuto di crescere arriva a tanto così da una deriva à là David Fincher. Una pellicola terribilmente ambiziosa nella stupefacente tecnica realizzativa ma anche nella volontà di trascendere il formato del film per famiglie per arrivare dalle parti dei melò animati di Miyazaki.
Il solito centro pieno, insomma, magari meno gratificante dei capolavori di cui sopra, magari più sbrigativo nel design dei Minions di contorno, sicuramente più faticato nella scrittura, che soprattutto nella seconda parte sembra un po' più incerta nelle gag e timorosa nell'affondare i colpi. Ma che lezione di recitazione, che attenzione per i dettagli, che sicurezza nella gestione delle sfumature: sono cose come queste che distinguono un fuoriclasse da un mestierante. E in questo senso, i ragazzi di Emeryville continuano a giocare un campionato a sé.

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